Di E. Gilbertson
Quest’articolo è stato riprodotto con il permesso della “Japan Society” dai “Transactions”, vol.IV, 1895-1898, pp. 112-126.
Gilbertson era principalmente un collezionista di spade e parte della sua collezione si trova ora nel Victoria and Albert Museum di Londra. Egli donò altri tre lavori contenuti nei “Transactions”: Lame di spade giapponesi, Le decorazioni e i finimenti delle spade,
e la genealogia della famiglia Miochin (Vol. IV, III e I).
Traduzione dal Journal of The Society of Archer –Antiquaries Vol. 46, anno 2003 a cura di Stefano Benini, per cortese concessione di Mr. Douglas Elmy, Honorary President.
Nonostante l’introduzione delle armi da fuoco nel 1542, l’arco è stato considerato dai giapponesi, fino in epoca assai recente, come la principale arma da guerra, e gli arcieri abili erano tenuti in grande stima. I fatti eclatanti delle loro gesta militari con l’arco sono tra le più diffuse e popolari, mentre poco o nulla si incontra sul ruolo giocato dall’artiglieria e altre armi da fuoco.
L’uso dell’arco era parte essenziale dell’educazione dei nobili e l’attitudine al tiro da cavallo al galoppo, al fine di colpire accuratamente in ogni direzione, veniva diligentemente coltivata. Il tiro con l’arco, in forma di arte, venne probabilmente introdotto dalla Cina, infatti troviamo spesso arcieri rappresentati in bassorilievi, specialmente in abiti cinesi, essendo tale soggetto assai frequente nella storia cinese.
Uno di tali soggetti, tra i più diffusi, è strettamente legato al famoso arciere cinese Yoyuki, che era noto come “lo Shogun dall’arco divino”. Si narra che egli abbia abbattuto un’oca che stava volando nascosta da una nuvola, perciò invisibile, guidato nella sua “mira” unicamente dal verso del volatile. Il “Shuho Bukuro” racconta che nell’autunno del 988, Shokwa la figlia di Yoyuki, apparse in sogno a Raiko (Yorimitsu) e gli disse che, avendo imparato dal padre tutti i segreti del tiro con l’arco, era desiderosa di trasmetterli alla posterità, e a tal fine non conosceva alcuno più degno di Raiko attraverso cui trasmetterli. Quando Raiko si risvegliò, trovò dinanzi a lui un arco con le frecce, quindi, attraverso il suo insegnamento, Raiko divenne un abilissimo arciere. Vi è tuttavia una lieve discrepanza in questa leggenda, ossia il fatto che Raiko nacque solo nel 1037.
Ma se l’arcieria scientifica arrivò in Giappone attraverso la Cina, i giapponesi la gestirono come fecero con tutte le altre arti da la provenienti, dando ad essa un carattere proprio ed autonomo.
Generalmente si vedono raffigurazioni di comandanti cinesi o celebrità militari con la lancia o l’alabarda, mentre le stesse figure giapponesi vengono più di frequente rappresentate armate di arco. Jimmu Tenno è rappresentato col suo arco in mano, sul quale è appollaiato il corvo gigante, e l’imperatrice Jingo Kogo, durante la sua spedizione in Corea nel secondo secolo dopo Cristo, viene rappresentata a cavallo con il suo arco, ma viene anche rappresentata mentre scrive con esso su di una roccia “Koku-o”, ossia “La sovrana del territorio”, come atto di presa di possesso delle sue conquiste. Alla battaglia di Ujigawa nel 1184, Yoshitsune viene rappresentato mentre guada un fiume a cavallo tenendo il suo arco tra i denti.
Non ho incontrato rappresentazioni di antichi archi cinesi degne di fede, tuttavia esso pare esser simile al recente arco tartaro, con estremità ricurve , o come la linea del labbro superiore. Tuttavia numerosi esempi di antichi archi giapponesi sono tuttora conservati in templi e si tratta di archi asimmetrici riflessi, (di forma simile a quelli oggi in uso nel Kyudo n.d.t.). Il “Buki ni-hiaku” ci fornisce i nomi e le tipologie di cinque Tipi di arco: il Maru-ki, o arco in legno di un sol pezzo a sezione rotonda; il Shige-to, o arco legato ad intervalli con rattan e laccato; il Bankui e Hankui, archi simili ma di dimensioni ridotte e L’Hoko-yumi, ossia l’arco Tartaro. Questi archi erano fatti con tre o più strati e laminazioni in bambù incollati assieme mentre l’Hoko-yumi aveva, in alcuni casi, l’impugnatura e i terminali rigidi rivestiti in metallo. In archi di questa forma, che presentano un “gomito” nei flettenti (kata), la corda tocca la faccia dell’arco per un tratto dalle nocche. Questo tratto veniva rivestito in metallo e chiamato Otokane ; la corda, colpendo contro di esso durante il tiro, produceva un suono, spesso usato come segnale. Quando al Mikkado serviva acqua per lavarsi al mattino, tre dei suoi attendenti facevano un segnale in tal senso facendo vibrare le corde dei loro archi.
Tra gli archi preservati nel tempio di Itsukushima ve ne sono due la cui parte più spessa si trova alle estremità (juhasu) sulle quali è ricavato il piolo al quale viene fissata la corda. Uno di questi, appartenuto a Yuasa Matashichiro, misura in lunghezza 2,66 m.; l’altro, appartenuto a Ihara Koshiro misura 2,56 m. ed il diametro
delle due estremità è di 57 mm. nel punto più largo (tavola 1, c ). Questi due archi sono eccezionalmente lunghi, ma al tempio di Sumiyoshi è conservato un arco della lunghezza di 2,36 m., laccato in nero e con una impugnatura in metallo a circa due terzi della sua lunghezza totale. L’arco di Minamoto Yoritomo, conservato al tempio di Hacimangu a Tsutugaoka, è lungo “solo” 1,96 m. , essendo questa la lunghezza più usuale. Ma al tempio di Mishima vi sono archi della lunghezza di m. 2,59; 2,36; 2,31 e 2,34 ; quest’ultimo donato al tempio nel 1363. L’arco di Tsukefuda Noto no Kami misura 2,39 m. mentre altri due, dello stesso periodo, misurano 2,28 e 2,21 m., indicando che lunghezze sui m. 2,15 non erano affatto eccezionali per gli archi di quell’epoca.
La corda dell’arco era costruita con lunghe fibre di canapa compattate assieme ed intrecciate alle estremità per formare gli occhielli tramite speciali nodi mentre veniva sempre portata con se una corda di ricambio, a volte avvolta attorno a una bobina in rattan (tsurumaki), altre volte appesa alla faretra oppure sistemata in una piccola borsa.
Questi archi devono essere stati molto potenti, e questo rende meno improbabile la storia che occorressero tre uomini ordinari per riuscire a tendere l’arco di Tametomo, che misurava in lunghezza m. 2,59.
Minamoto Tametomo era il nipote di Yoshiiye (Hachiman Taro), ed era molto alto, con braccia talmente lunghe da riuscire ad aprire la corda, così si narra, ad una lunghezza di freccia di diciotto palmi, ossia circa m. 1,50. Tametomo aveva un fratello di nome Yoshitomo, e nella disfida tra l’Imperatore Goshirakawa e l’ex Imperatore Shutoku, che ebbe luogo nel 1156, i due fratelli si schierarono su fronti opposti. Tametomo si pose a difesa del cancello occidentale del palazzo che era stato fortificato da Shutoku. Suo fratello Yoshitomo ebbe una sortita contro di lui alla testa di un drappello di guerrieri, ma venne “avvisato” da una freccia del fratello che gli portò via una delle piastre ornamentali in argento sul suo Kobuto (elmo), andando a conficcarsi in un palo del cancello di palazzo. Taira no Kiyomori, che sosteneva Goshirakawa, pianificò un attacco che venne poi condotto da due dei suoi generali:
i fratelli Itogo e Itoroku Kagetsuna. Ma Tametomo, in quella battaglia, tirò una freccia ad Itogo, che lo trapassò completamente e nel continuare il tragitto andò a ferire mortalmente Itoroku, che si trovava dietro di lui . Ma tale prodezza non servì alla sua causa; infatti, anche senza generali, l’esercito di Goshirakawa riportò ugualmente la vittoria, e a Tametomo, come punizione per il ruolo giocato nello scontro, vennero tagliati i tendini delle braccia per renderlo inabile all’uso dell’arco, e venne, in quelle condizioni esiliato sull’isola di Oshima. Ma pare che i suoi tendini
guarirono, ed in seguito egli indusse la gente di Oshima alla rivolta contro Kiyomori, che inviò una nave carica di soldati ad Oshima per arrestarlo. Tuttavia Tametomo affondò la nave tirando una grossa freccia che trapassò la chiglia e si dice che, ottenuta la sua indipendenza, divenne il primo dei re di Liukyu.
Una delle più antiche storie di arcieri è quella di Fujiwara Hideasto, Kami di Shimosuke. Nell’anno 940 venne mandato a sopprimere la ribellione di Taira no Masakado; lo accompagnava nell’impresa Taira no Sadamori. Masakado, alla battaglia di Kushima che ne conseguì, venne colpito da una freccia di Sadamori e, cadendo da cavallo, fu subito decapitato da Hideasto. Questo è ciò che si narra nel “Nihon o dai ichiran”, che viene supportato da un’altra leggenda secondo la quale la sua testa venne portata in esibizione attraverso molte provincie, come monito per le genti, e venne poi a fermarsi a Yedo, nel quartiere di Kanda, dove ora si trova il tempio di Mioshinji. Li la testa venne sepolta e, siccome Masakado era di sangue imperiale, il tempio venne a lui dedicato.
Non ci è dato sapere quando o perché Hidesato fece crollare la dinastia Fujiwara in suo favore assumendo poi il nome di Tawara Toda, laddove Tawara significa bisaccia per il grano. Tuttavia è proprio con tale nome che egli appare come l’eroe che uccise il centopiedi gigante (mukade). Vi sono diverse versioni della storia, che variano di poco tra loro nei dettagli; tuttavia tutte concordano sul fatto che quando il mostro apparve Hidesato aveva con sé solo tre frecce, due delle quali rimbalzarono sulla testa della creatura. Ma, inumidendo la punta della terza freccia nella sua saliva, egli riuscì a colpire l’essere nell’occhio e questi cadde morto. Questa prodezza è commemorata in un santuario vicino al ponte di Seta, che fu il teatro dello scontro, ed è ancor oggi popolare credenza che un centopiedi possa essere ucciso tenendone la testa bagnata nella saliva.
Si sarebbe tentati di supporre che gli archi con estremità metalliche debbano risalire a tempi più antichi, poiché non solo noi troviamo Jingo Kogo che scrive sulla roccia con uno di questi, ma si narra anche che Yoriyoshi, il padre di Haciman Taro, abbia fatto sgorgare acqua da una roccia colpendola con l’estremità del suo arco, dopo avere pregato gli dei. Questo accadeva durante la campagna contro Abe no Sadato nel 1057, quando l’esercito di Yoriyoshi si ritrovò in un distretto privo di acqua. Durante la stessa campagna militare troviamo suo figlio Yoshiiyé, all’epoca solamente ventenne, distinguersi come arciere. Yoriyoshi infatti, essendo stato sconfitto nella battaglia di Tori-no-umi a Oshu, si ritrovò assieme a soltanto sette soldati del suo seguito e completamente circondato dal nemico; ma suo figlio Yoshiiyé iniziò a tirare frecce con tale velocità e maestria da mettere in fuga e allo
sbando l’intero drappello che circondava il padre. Fu in tale occasione che il giovane conquistò il nome di Haciman Taro, ossia il Giovane Hachiman, secondo il libro “Nihon o dai ichiran”; Hachiman era il dio della guerra.
Durante l’assedio di Kanazawa nel 1057, Kamakura Gongoro Kagemasa, al tempo solo sedicenne, venne centrato nell’orbita di un occhio da una freccia e, senza preoccuparsi di toglierla, essendo un abile arciere, tirò di rimando uccidendo l’uomo che l’aveva ferito. Il suo amico e commilitone Miura Tametsugu, trovando che la freccia si era fortemente piantata nell’osso, piazzò un piede di traverso sulla faccia di Kagemasa, per potere estrarre la freccia con entrambe le mani: il giovane guerriero si sentì molto offeso poiché mettere i piedi in faccia era all’epoca ritenuto
un grave oltraggio.
Quando Nitta Yoshisada stava difendendo l’imperatore Go Daigo contro Ashikaga
Takauji, aveva al suo seguito un celebrato arciere: Honma Nagoshiro.
La flotta di Takauji fece la sua comparsa a Wada no Misaki e Nitta Yoshisada si preparò a respingerla dalla costa.. Honma Nagoshiro pose un messaggio con gravi insulti su di una freccia e la tirò ad un volatile che planava sopra la nave di Takauji, e il pennuto cadde sulla nave con la freccia. Yoshisada venne infine sconfitto e quando in seguito Takauji accompagnò l’imperatore a Kyoto, vendicò l’affronto mettendo a morte l’arciere.
Questo episodio viene spesso citato e altrettanto spesso confuso con il gesto di Nasu no Yoichi, anche se questo risale a 180 anni prima. Avvenne infatti che nel 1180 l’Imperatore Takakura fece un dono al tempio di Itsukushima. Tale dono consisteva in trenta ventagli che recavano dipinto su di essi lo hi-no-maru, il disco del sole.
Quando il successore di Takakura, l’imperatore bambino Antoku venne catturato dai Taira, che stavano fuggendo dai Minamoto, il sacerdote del tempio donò al bambino uno di quei ventagli, assicurandogli che il disco dipinto su di esso era lo spirito dell’ultimo Imperatore, suo padre, e che perciò quel disco avrebbe respinto le frecce del nemico facendole rimbalzare su di esso. Credendo all’affermazione del prete, i Taira piazzarono questo ventaglio in cima a un palo appositamente fissato ad una arcata di una delle loro navi, che essi ormeggiarono vicino alla costa.
Una delle donne della Corte Imperiale sfidò i Minamoto a colpite il ventaglio.
Nasu no Yoichi Munekata, il migliore arciere del clan, cavalcò nelle acque per un tratto e, consapevole della credenza secondo la quale il disco del sole avrebbe respinto ogni freccia, pregò i Kami per ottenere che il vento e le acque si calmassero, quindi, con un tiro passato alla leggenda, andò a colpire il ventaglio proprio sul rivetto metallico che lo teneva assieme, mandandolo in pezzi sotto gli occhi ammutoliti ed increduli dei Taira, che vennero poi sconfitti nella battaglia che seguì l’episodio.
Rivendicando la discendenza da Nasu no Yoichi, la famiglia Sasake usa oggi come suo emblema araldico (mon), un ventaglio con un disco nero su di esso, (poiché il loro antenato arciere aveva spento il sole dei Taira, n.d.t ).
Un altro episodio di questa battaglia, che dimostra il valore che si tributava all’arco di un famoso arciere, viene spesso rappresentato dagli artisti.
Esso mostra Yoshitsune che si getta nelle acque con il suo cavallo per recuperare un arco che galleggia: l’arco di Noritsune no Kami.
Vi erano a quei tempi molti tipi di faretra (Ebira): alcune da guerra, altre da caccia; oltre ad un tipo più ornamentale come quello usato dai zuijin, le guardie di palazzo, nel quale le frecce restavano aperte a ventaglio dietro la schiena, cosa che ricordava molto la coda di un pavone. Queste faretre decorate venivano chiamate heikoroku,
ed erano di diverse fogge; mentre la kari yebira , (tav. 2 b) la faretra da caccia usata anche in guerra, era spesso poco più che una intelaiatura in bambù, molto leggera,
alla quale le frecce venivano fermate tramite stringhe girate attorno ad esse.
Un tipo assai semplice di faretra era spesso costituita da un segmento di bambù chiuso alle due estremità da tappi in legno apribili, tenuti fermi tramite strisce di cuoio. La utsobu era una faretra ricoperta in pelliccia o pelle, con una apertura sul fronte nella sua parte inferiore; una di queste appartenuta a Yoshitsune si trova nella collezione privata di una famiglia di Settsu (tav. II, a).
Il tipo di faretra più comune tra quelle che si possono vedere nei templi assomiglia
In foggia ad una poltrona a braccioli con lo schienale molto alto e i piedi molto corti (tav. II, c), alla quale le frecce venivano assicurate tramite stringhe, come nella Kari yebira. Queste faretre potevano contenere da due a tre dozzine di frecce e pare che venissero piazzate sul terreno. Altre faretre, portate sul dorso, erano coniche o quadrangolari, spesso laccate e decorate.
Le frecce (ya) usate dai giapponesi avevano punte di varie fogge, alcune in legno e di derivazione cinese; queste erano in uso in tutta la Manciuria fino a nord del Kamchatka durante tutto il diciannovesimo secolo. Tra queste vi era la kabura ya o punta a bulbo, nei tipi “Buki-ni-hiaku” “hiki-me”, con testa cava: queste erano le frecce fischianti. Una di esse è conservata nel tempio di Atsuta, dove si trova la spada sacra, e la sua punta misura 21,5 cm. in lunghezza e 8 cm. in diametro nel punto più largo. La forma ricorda quella di una pera, la spalla vicino alla sommità è perforata da quattro fori oblunghi con le corrispondenti aperture sul fronte, che è largo e piatto
(tav. III., a).
Tali frecce emettono un sibilo assai acuto mentre salgono e poi discendono, venivano usate come segnali. Una delle hi-hoko, con testa in legno e punta a forma di lancia, lunga sei pollici e ricoperta in lacca tipo shunkei, è preservata in un tempio di Shimosuke (tav. III., b). Ciò che rende questa freccia di grandissimo pregio e interesse è il fatto che pare essere appartenuta a Nasu no Yoichi, l’arciere che tirò al ventaglio Taira nella battaglia di Yashima, ma da un foro che si trova alla sua sommità sono portato a pensare che si trattasse in origine di una kari-mata, freccia con punta biforcuta in acciaio, del tipo usato in Cina in tempi più antichi.
Frecce con punte in legno smussate e imbottite (ki-hoko) venivano usate per la caccia al cane “inu-oi”, istituita nel dodicesimo secolo dall’Imperatore Toba e che veniva espletata a cavallo all’interno di un’area recintata. In una danza del teatro
No queste cacce simboliche vengono rappresentate come celebrazione dello scampato pericolo dell’imperatore dalle arti malevole della sua concubina Tamamo no Mayé (Mayé era il titolo delle dame di corte). L’Imperatore infatti si era ammalato di un morbo che si faceva beffe dell’abilità dei suoi migliori medici. Abe no Seimei, l’astrologo di corte, sentì raccontare che, in una notte in cui il vento aveva spento tutte le lampade, Tamamo no Mayé sembrava circondata da un alone luminoso.
Il saggio pensò che le sue origini erano quanto meno misteriose, e l’influenza che la donna aveva ottenuto sull’Imperatore era spropositata; perciò Abe giunse alla conclusione che Tamamo lo avesse stregato. L’astrologo riuscì a strappare un ordine in base al quale venne eretto un altare nel cortile di palazzo, e venne ordinato a tutti
i membri della Corte di recarsi a quell’altare e li innalzare preghiere per la guarigione dell’Imperatore. Dopo aver rimandato l’obbedienza con diverse scuse, Tamamo venne infine obbligata a recarsi all’altare ma, non appena salita sulla stuoia, la donna si trasformò in una volpe bianca con nove code e scappò via. L’imperatore guarì e la volpe, essendo stata avvistata nella provincia di Shimosuke, venne colpita con una freccia nelle paludi di Nasu e morendo si trasformò in una roccia, che si può ancora vedere al presente. Una leggenda quasi identica riguarda anche l’imperatore cinese Shou, che venne poi ucciso nel 1123 Avanti Cristo; la malvagia concubina era la famosa T’a-ki, mentre il saggio che scoprì la sua vera natura si chiamava Unchushi.
Le comuni frecce giapponesi erano simili a quelle in uso nell’arcieria ricreativa occidentale del diciottesimo secolo, con punte coniche ed impennaggio a tre vani con penne collocate diritte e non elicoidali. Eccezionalmente si potevano trovare frecce con quattro penne e sebbene le penne più pregiate per tale uso fossero quelle di fagiano, venivano comunemente usate anche quelle di aquila, falco, anatra selvatica o avvoltoio. Per la caccia o la guerra, le punte di freccia erano naturalmente in acciaio, in gran varietà di forme e dimensioni; ed è proprio qui che incontriamo le più caratteristiche differenze tra le frecce cinesi e quelle giapponesi.
La loro principale suddivisione era in “yanagi-ba” o frecce con punta a foglia di salice; le “togari-ya”, a punta conica; le “karimata”, con punta biforcuta o doppia e le “watakusi” o frecce con punta seghettata ad uncini per strappare la carne.
Tuttavia ogni specie era a sua volta suddivisa in numerose forme, alcune yanagi, o a forma di foglia, sono lunghe e affilate; le togari, o appuntite, si espandono in larghezza fino quasi ad assumere la forma di un cuore; le karimata, o a punta doppia, differiscono le une dalle altre principalmente per la distanza tra le due punte che ne determina la larghezza, questa poteva variare da 3,5 cm. fino a 16 cm., tuttavia il principio di costruzione di queste punte rimaneva invariato: non vi era solamente il bordo interno della forcella affilato ma anche il bordo esterno di tutta la punta, questo tipo di freccia veniva infatti usato non soltanto in guerra ma anche per la caccia a grosse prede. E’ stato anche suggerito che, siccome le varie parti dell’armatura tradizionale giapponese erano tenute assieme da corde in seta, queste frecce venissero usate per tagliarle, oltre che per infliggere tremende ferite.
Si deve anche osservare che, di regola, le antiche frecce di questo tipo erano di fattura assai semplice, e l’angolo tra le due punte della forcella era più acuto di quello usato nelle punte di fattura più recente; queste ultime infatti, specie quelle del XI o XII secolo, erano frequentemente perforate e squisitamente cesellate (Tav. VII).
Molti notevoli esemplari di frecce sono custoditi nei templi ed in quello di Itsukushima si trova una freccia con punta a forcella appartenuta a Yuasa Matashiro, che misura in lunghezza 16 cm. dalla spalla alle punte, che distano tra loro 12 cm. (Tav. 1, b).Questa punta è fissata su di un’asta lunga 78 cm. e del diametro di 16 mm. così che possiamo prontamente credere che, con una freccia simile tirata da un arco lungo 2,54 m., un arciere come Tametomo potesse aver affondato una barca. Un arco simile, appartenente allo stesso arciere, viene preservato a Itsukushima assieme ad un altro circa della stessa lunghezza ed appartenuto a Ihara Koshiro, ed una freccia karimata appartenuta a Watanabe Yajuro, la cui apertura di forcella è di 13,5 cm., con un’asta lunga 50 cm. (probabilmente spezzata n.d.t.) e con un diametro di 16 mm.
Nel tempio di Aizu Todera Hachiman di Mutsu troviamo un altro esemplare di punta
a forcella, le cui punte affilate sono lunghe 16 cm. con una apertura di forcella di 13,5 cm. Un altro esemplare più tardo misura in lunghezza 19 cm. da spalla a punte, con un codolo lungo 38 cm. Questi lunghi codoli inseriti nell’asta erano necessari come contrappesi per le punte. Infatti una di queste, traforate e cesellate da Umetada Mioju, pesa circa otto once ed è munita di codolo lungo 40 cm. (Tav. VII).
Nel tempio di O-yashiro, a Izumo, troviamo un esemplare di karimata (Tav.III, d) messa su di una punta in legno ovale, variazione della freccia fischiante cinese ma di lavorazione assai superiore. L’asta è lunga 85 cm. ed è impennata con quattro alette di forma larga e parabolica. All’apparenza si direbbe una freccia ad uso ornamentale
o cerimoniale piuttosto che per il tiro ordinario ed è vicina ad un’altra, con asta molto simile ma con punta interamente in acciaio che appare come una combinazione tra la punta a foglia e la “lacera-carne” (watakusi, Tav. III, e).
La “togari-ya”, o freccia appuntita, ha molte varianti tra cui la più diffusa era quella sottile ed affusolata come un piccolo giavellotto. Una di queste, preservate a Itsukushima, ha una punta lunga 20 cm. e larga 3 alla base, montata su di un’asta lunga 76 cm. (Tav. III, g). Altre punte dello stesso tipo hanno invece una forma di diamante allungato, con la parte interna traforata per alleggerirle e una di queste, anch’essa custodita a Itsukushima, appartenuta a Ihara Koshiro, è lunga 21,5 cm. da spalla a punta, larga 12 cm. ed è montata su un’asta del diametro di 19 mm. (Tav.I,a).
Molte punte “togari-ya ” sono tuttavia più o meno seghettate e, ancora più frequentemente, con una forma a foglia larga tanto che la larghezza spesso eguaglia la loro lunghezza. Tale caratteristica viene riscontrata ancor più frequentemente in queste ultime, che sono di solito traforate e cesellate, come quella costruita da Umetada Moiju, che misura in lunghezza 14 cm. da spalla a punta e 9 cm. in larghezza (Tav. 7). Vi è inoltre un altro tipo di punta di freccia assai peculiare ed è preservato al tempio di Mishima ad Iyo. E’ ad una sola punta e le lame, della lunghezza di circa 9 cm., hanno il bordo ripiegato di 4 mm. e formano una specie di scalpello rotondo; ve ne sono tre tipi della stessa fattura ma privi di firma e di data.
Due togariya di notevoli dimensioni vennero donate al tempio di Sugi da Minamoto Yoshiiye. Le punte sono lunghe 16,5 cm. e larghe alla base 7,5 cm., montate su aste lunghe 60 cm. e del diametro di 14 mm. (tali misure suggerirebbero l’uso di queste frecce con archi corti e potenti, diversi dallo yumi che conosciamo, n.d.t).
Le yanagi-ba, o punte a foglia di salice, hanno talmente tante forme e dimensioni che risulta difficile stabilire in quale caratteristica esse differiscano dai tipi più larghi di punta a lancia. Il tipo più semplice è una punta a sezione quadrangolare, che si restringe alle estremità superiore ed inferiore, della lunghezza di circa 5 cm. e dello spessore di 7 mm. Due esemplari atipici di yanagi-ba, se non vogliamo classificarli come punte a lancia, si trovano allo Ubaitadaki-sha di Bungo. Sono lunghe circa 15 cm. con la parte interna traforata per alleggerirle, ma invece di averne asportata una parte piena, vi è stata lasciata una lingua centrale (Tav.III. c).
La watakusi, o strappa carne con uncini, è di solito molto ornamentale nella sua forma, ma suggerisce orribili ferite. Uno degli esemplari più terrificanti e lesivi si può vedere tra le punte appartenute a Yoshiiyé (Hachiman Taro), custodite nel tempio di Tsuboi Hachimangu a Kawachi. Questa punta è lunga 18 cm. con un enorme uncino, di dimensioni differenti, su entrambi i lati. Quello più in alto sporge 2 cm. dal codolo centrale mentre quello più in basso sporge di 3,5 cm. ed è collocato a 11,5 cm. dalla punta (Tav. IV a). Vi sono inoltre, nello stesso luogo, altre due piccole punte di freccia di tipo diverso, lunghe 4,5 cm. e di foggia adatta alla penetrazione (Tav. 4 b). Nel Kamaguchi Chogakuji di Yamato si trova un interessante esemplare di freccia con punta lacerante, appartenuta al famoso guerriero Noritsune Noto no Kami, il cui tentativo di catturare Yoshitsune alla battaglia di
Dan-no-ura, nel quale trovò la morte, costituisce il soggetto favorito per molte illustrazioni artistiche. La punta in acciaio è lunga 11,5 cm. con un asta di 101,5 cm del diametro di 19 mm. (Tav. IV d). Ma la più formidabile di queste punte laceranti è un esemplare custodito dalla famiglia Sataké; questa punta misura in lunghezza 24 cm., con le barbe ad intervalli di 6 cm. le une dalle altre (Tav. IV g).
Un tipo di punta di freccia assai impressionante, che verrebbe sicuramente scambiata per una punta di lancia, se distaccata dall’asta, è quella appartenuta allo Shogun Toshihito. La lama è lunga 25 cm. e larga 2,5. Alla base, congiunta ad essa a croce , vi è una seconda lama curva, della lunghezza di 21 cm., entrambe sono affilate lungo tutto il bordo. Il codolo è lungo 48 cm. L’asta misura 101 cm per un diametro di 13 mm. (Tav. IV c). Può essere utile ricordare che non è raro incontrare punte di freccia che vengono scambiate per punte di lancia e di conseguenza classificate come tali, un errore che sorge senza dubbio a causa delle loro dimensioni.
Oltre ai tipi di freccia summenzionati, ve ne sono altri che non si usavano in guerra, come la “tsunoki-ya”, una freccia con punta in osso o legno duro; la “mato-ya” e la “sasi-ya”, frecce con punta in legno smussata per la pratica al bersaglio.
La “kury-ya” era una freccia fatta con un tipo speciale di bambù raccolto sul monte Koyasan; la sua punta è in legno duro e l’impennaggio è in penne di anatra selvatica.
Questa freccia veniva usata per tirare a bersagli distanti 60 ken, vale a dire poco più di 91 metri.
Tra le punte di freccia più recenti ne troviamo molte traforate e lavorate in modo artistico (Tav. IV, h). Un motivo largamente usato su quelle a foglia di salice è il fiore di sakura, oppure due di essi sovrapposti (Tav. VI), ma oltre a queste decorazioni possiamo trovare anche frasi o parole lasciate in rilievo come:
“Hachiman dai Bosatsu”; “Rio”, un dragone; “Atagoyama ”, la collina vicino a Kyoto; “Baichiku”, la piuma e il bambù; “Kwa, Cho”, fiori e uccelli, ecc.
(Tav. VI).
L’autore conclude osservando che è stato molto difficile per lui (1895) reperire descrizioni o notizie su archi e frecce giapponesi appartenenti a collezioni private, e che pertanto ha dovuto basarsi principalmente sulle illustrazioni e descrizioni dei tesori dei templi, disegnate da artisti competenti e scrupolosi ed accompagnate da precisi e utili dettagli.
Stampato in proprio per uso interno, Kyudo Club Padova.