Riprendiamo la nostra analisi sull’uso dell’arco in epoca celtica iniziata con lo studio degli archi rinvenuti a Robenhausen (Germania) risalenti al IV-V secolo D.C. e ci portiamo nella Danimarca del III secolo D.C.
I reperti che prendiamo in esame sono abbastanza famosi nell’ambiente dell’archeologia arcieristica, ma non hanno, a mio avviso, ricevuto tutta l’attenzione che meriterebbero.
Tuttavia consentitemi di fare un lungo passo indietro per descrivere un reperto assolutamente unico, anch’esso pertinente agli albori delle culture esaminate.
Esso è stato datato con il metodo del radiocarbonio al 1320 a.C. Si tratta di un singolare arco marcatamente asimmetrico, ricavato da un ramo di tasso e rinvenuto nel 1842 ad Edington Burtle nel Somerset, in Inghilterra (fig. 1). Questa importantissima testimonianza archeologica ci conferma che l’uso di un tale arco asimmetrico non era circoscritto alle sole isole giapponesi del III secolo D.C. (periodo Yajoy). Il reperto consiste in un arco rinvenuto pressoché intatto e quindi la sua pronunciata asimmetria non è dovuta a rotture o danneggiamenti. L’arco asimmetrico dell’Età del Bronzo inglese è lungo circa m. 1,60. Il flettente superiore è più lungo di quello inferiore di ben 20 cm. Il suo dorso è piatto, mentre la parte interna è arrotondata. La sezione dell’impugnatura è rotonda ed il flettente superiore più lungo termina con una punta conica, mentre quello inferiore termina con un pomolo. La sua larghezza massima ai flettenti è 29 mm. mentre all’impugnatura è largo 25 mm. Lo spessore massimo dei flettenti è 18 mm. Mentre l’impugnatura è spessa 26 mm.
Decentrando il “punto di sparo” della freccia verso il basso si ottiene un maggiore accumulo energetico che si traduce in una maggiore velocità di chiusura rispetto a quella ipoteticamente ottenibile con lo stesso arco costruito con flettenti simmetrici. Ovviamente il tipo di tecnica usata per il tiro poteva essere diversa, ma ci è dato di fare solo caute ipotesi, tuttavia questo arco “quasi giapponese” rinvenuto in una delle più importanti “culle” della cultura occidentale apre i nostri orizzonti a considerazioni finora impensate. (Cfr. J.D. Clarck 1963; Gad Rausing 1967).
Gli archi “sassoni” rinvenuti nelle galee di Nydam presso le torbiere danesi, risalgono all’età europea del ferro (100-300 A.D.) e sono, a mio avviso, rivelatori rispetto al periodo celtico da noi preso in esame.
La lancia e il giavellotto rimanevano le più importanti armi del guerriero europeo durante tutto il periodo La Tène (dal 450 A.C. al 50 D.C.) I maggiori rinvenimenti archeologici danesi di Hjortspring (200 A.C.) non includono archi e frecce, ed anche le punte di freccia sono estremamente scarse nelle sepolture di questo periodo. Dal momento che punte di lancia e giavellotto in osso sono spesso state rinvenute negli scavi di questo strato geologico, se vi fossero state punte di freccia in osso sarebbero, con ogni probabilità, venute alla luce.
Gli autori romani più antichi non fanno menzione dell’arco come arma germanica, tuttavia Cesare menziona archi celtici costruiti in legno di tasso, ma afferma che lancia a giavellotto (framea ac hasta) erano le armi delle tribù germaniche. Più tardi le cose sarebbero cambiate.
Gli archi rinvenuti negli importanti scavi delle torbiere danesi, che risalgono all’Età del Ferro romana e al periodo delle Migrazioni, vennero pubblicati da Engelhart più di cento anni or sono.
Come tutti gli altri manufatti in legno rinvenuti a Vimose (100-300 A.D.), gli archi sono in eccellente stato di conservazione (fig. 2.1 a) Come quelli rinvenuti a Thorsbjerg (3° sec. A.D.),
a Nydam (4° sec. A.D.) e a Kragehul (450-525 A.D.) , essi erano costruiti con legno di conifera.
Secondo Borge e Christenssen, del Museo Nazionale, questi archi sono in legno di tasso.
Le dimensioni degli archi di Vimose sono considerevoli : da 168 a 196,5 cm. L’esemplare più robusto è largo all’impugnatura 3,5 cm. ed è lungo 183 cm. Due degli archi rinvenuti a Nydam, che sono dello stesso tipo di quelli di Vimose, sono circa della stessa taglia: 191 e 182,5 cm. In ogni caso essi sono stati ricavati da un tronchetto di diametro piuttosto grosso, la cui superficie viene a formare il dorso dell’arco (la parte esterna verso il bersaglio), mentre la parte interna, o ventre, è arrotondata e la sezione forma un segmento di cerchio. Lo spessore dei flettenti è cospicuo, anche se varia da arco ad arco ed anche in punti diversi della stessa arma. In via generale questi archi sono assai spessi in prossimità del punto centrale, essendo qui lo spessore pressoché identico alla larghezza dell’impugnatura. I flettenti si rastremano verso le estremità e tuttavia il loro spessore decresce in proporzione maggiore di quanto non decresca in larghezza. Siccome la superficie del tronchetto viene a formare il dorso dell’arco in tutta la sua lunghezza, ne consegue che la parte esterna dei flettenti è costituita quasi interamente di alburno. In questi esemplari abbiamo la fortuna di poter identificare con certezza la parte anteriore e quella posteriore, dalla forma delle tacche per la corda. Queste sono generalmente abbastanza piccole e tagliate profondamente ad un angolo di circa 45 gradi, su di un solo lato del puntale.
Una caratteristica interessante è che a volte troviamo due paia di tacche per la corda: una più esterna ed una interna. Probabilmente esse non nacquero contemporaneamente e le nocche più interne possono esser state intagliate quando il costruttore si accorse che l’arco non fletteva in modo simmetrico. L’asimmetria può infatti essere compensata spostando la giunzione con la corda leggermente più all’interno, ed allo stesso tempo spostando l’impugnatura di metà distanza nella stessa direzione. Ciò tuttavia non spiegherebbe il perché la tacca vecchia, più esterna a quella nuova , non sia stata rimossa.
Questi archi non erano certamente di tipo composito, ma recano tuttavia tracce ben definite di fasciature di diverso tipo. In un caso esse consistono di un certo numero di nastri, della larghezza di circa un centimetro, avvolti a formare spire della stessa distanza di un centimetro l’una dall’altra.
In un altro esemplare il nastro era largo circa 3 cm. e la distanza di avvolgimento circa 1,7 cm.
Sebbene non resti nulla del nastro stesso, le tracce da esso lasciate sulla superficie del legno sono assai evidenti. Su di uno di questi archi la superficie è stata resa ruvida, probabilmente per impedire al nastro di scivolare. Non vi sono tracce di alcun rinforzo di nastro o di tendine e ne di altro materiale sul dorso dell’arco. La posizione in cui le tacche per la corda sono state ricavate è sempre ad una certa distanza (dai 5 ai 10 cm.) dalle estremità, ed in alcuni casi esse sono totalmente assenti. Invece una caratteristica comune a questi archi è che i puntali alle estremità hanno la forma di corni con sezione rettangolare, larghi 9 mm alla base e che si appuntiscono fino ad una larghezza di 5 mm. alle estremità. Il fatto che le estremità siano tronco-piramidali è dovuto al fatto che in origine vi erano inseriti dei piccoli puntali in osso o in ferro, ed un puntale simile possiamo in realtà osservarlo intatto su di uno soltanto degli archi rinvenuti a Nydam, sotto la nocca del flettente inferiore. La punta è lunga 3,5 cm. ed è conica con la base larga 6 mm. e costituisce di fatto una specie di baionetta, che consentirebbe all’arciere, in caso di bisogno, di usare l’arco come fosse una lancia.
Abbastanza sorprendentemente, gli archi di Vimose non vennero spezzati in modo cerimoniale prima di venire deposti. Tutti gli altri oggetti e le armi, come era d’uso, erano invece stati “uccisi” prima della sepoltura. Perché gli archi non subirono lo stesso trattamento? Infatti nella torbiera di Kragehul vennero rinvenuti, tra gli altri reperti, anche alcuni archi. Come le altre armi, questi vennero invece spezzati secondo la tradizione attestata. A parte questa caratteristica essi sono simili agli archi di Vimose sotto ogni aspetto. I reperti di Thorsbjerg includono parti di un magnifico arco simile a quelli appena descritti, tuttavia in questo esemplare le tacche per la corda sono state intagliate su ambo i lati. Le tracce della fasciatura sono particolarmente evidenti in questo caso: consistono di due spirali; una che avvolge l’arco in senso orario e l’altra in senso anti-orario.
Ogni nastro consisteva di un gran numero di sottili filamenti e, sebbene non resti nulla dei nastri stessi, essi erano stati incollati all’arco con un sottile strato di resina, che rivela i nastri esser stati incrociati uno sull’altro sul dorso e sul ventre dei flettenti. Un altro arco che assomiglia molto a quelli delle torbiere danesi è stato rinvenuto vicino a Leuwarden, in Olanda. Il reperto è incompleto ma doveva misurare in origine 168 cm. in lunghezza. Al centro esso ha un diametro di 24 mm.
Dalla stratigrafia questo arco risale all’Età del Ferro romana.
Questi archi rinvenuti in Danimarca a Vimose e a Nydam potevano, secondo alcune fonti, appartenere a spoglie di guerra, sacrificate agli dei dopo la battaglia e gettate in sacre paludi o laghi.
Essendo stati datati tra il 100 ed il 350 A.D. rappresentano quanto di più vicino all’epoca La Tene da noi presa in esame e, come si può notare nella figura che li rappresenta, essi erano del tutto simili agli archi lunghi inglesi di epoca medievale. Il legno con cui furono costruiti era il tasso e l’abete. Come c’è da aspettarsi, gli esemplari in abete hanno un diametro maggiore rispetto a quelli in tasso, a causa della diversa densità strutturale delle due essenze, per ottenere lo stesso libraggio occorre un maggior spessore di abete. Pare comunque che in entrambi i casi la superficie esterna sotto la corteccia del tronco vada a formare il dorso dell’arma, questo ci consente di dedurne che, qualsiasi fosse l’essenza impiegata, l’orientamento delle venature in senso laterale sia preferibile a quello antero-posteriore, specialmente nel caso di legni meno adatti come l’abete in una sezione critica come quella a D.
La lunghezza dei 36 archi rinvenuti nelle galee di Nydam varia dai 178 ai 197,5 cm. Sono quindi più lunghi rispetto all’altezza degli uomini che li usavano. L’esemplare lungo 178 cm. ha uno spessore centrale di 26 mm. abbinato ad una larghezza, nello stesso punto, di 28 mm. Pertanto la proporzione spessore- larghezza è di 1 a 1,1.
Uno dei famosi archi inglesi di epoca Tudor (1545) rinvenuti sulla nave da guerra Mary Rose è lungo 187 cm. ed ha al centro uno spessore di 32 mm. su di una larghezza di 35 mm. Anche in questo caso possiamo notare una proporzione di 1 ad 1,1.
Molti costruttori di archi inglesi odierni optano per uno spessore sopra e sotto l’impugnatura di 29 mm. su di una larghezza di 32 mm. La similitudine è evidente.
Fonti:
– “Six foot saxon staves” by W.E. Tucker, Journal of the Society of Archer Antiquaries 1958.
– “The Bow”, Some notes on its origin and development, by Gad Rausing, Simon Archery 1967.
– “Longbow”, by Robert Hardy, P.S.L. 1992.
– “Neolithic Bows From Somerset, England”, by J.D. Clark, Dep. of Archaeology and Anthropology, Cambridge, 1963.