I faraoni Egizi del Nuovo Regno (1550-1150 A.C. circa) erano notoriamente (per i loro contemporanei) magnifici arcieri: questo ci è oggi noto grazie al fatto che loro stessi si prendevano la briga di “pubblicizzare” e proclamare le loro prodezze con l’arco.
“Ciò di cui vi parlo è veramente un fatto mai compiuto prima, né mai udito compiere da alcuno”, così vanta uno di loro, “Tirai ad un bersaglio di rame e la freccia, trapassandolo completamente, andò a cadere a terra dietro di esso” (James B. Pritchard, Ancient Near Estern Text Relating to the Old Testament, Princeton, 1955, p. 224 ).
Ripetutamente e in diverse fonti sia scritte che rappresentative noi troviamo vivide immagini del sovrano sul suo carro da guerra, arco teso, freccia pronta, che percorre le sue terre (Yigael Yadin, The Art of Warfare in Biblical Lands, in the light of archaeological study, New York, 1963).
Dagli studi effettuati pare che i faraoni maggiormente rappresentati come arcieri fossero: Tutmose IV, Amenofis II, Tutankhamon, Ramesse II e Ramesse III. In tali raffigurazioni il sovrano a volte appare come cacciatore che trafigge fiere selvagge, altre volte appare come guerriero che trafigge i suoi nemici, altre volte ancora è invece uno sportivo che tira a bersagli di bronzo.
Il più cospicuo rinvenimento di vero materiale arcieristico Egizio proviene dalla tomba del re bambino Tutankhamon, che regnò all’incirca dal 1361 al 1352. Nella sua tomba Howard Carter trovò circa 32 archi compositi, 14 archi semplici in legno, 430 frecce, due faretre, una piccola custodia da arco squisitamente decorata, una grande cassa in legno per contenere gli archi e due paia di bracciali.
Sei di questi archi vennero trovati nell’anticamera della tomba. Dieci erano nella camera di sepoltura mentre cinque di essi vengono dalla camera denominata “annessa” dagli scavatori.
Nel 1970 W. McLeod Pubblicò per l’Università di Oxford “Composite Bows from the Tomb of Tutankhamun”, mentre nel 1981 egli si apprestava a preparare una pubblicazione riguardante gli archi semplici in legno, dalla stessa tomba reale. In quello stesso anno Mcleod pubblicò in anteprima alcune osservazioni su questi archi in forma di articolo per il Journal of The Society of Archer-Antiquaries e queste osservazioni paiono in questo contesto assai degne di nota.
Gli appunti di Carter sui mastodontici lavori di scavo e sui reperti sono conservati al Griffith Institute, Ashmolean Museum di Oxford, mentre i reperti rinvenuti si trovano nel Museo Egizio del Cairo.
Tutti gli archi semplici in legno rinvenuti presentano un profilo a doppia curvatura, che era la foggia più ricorrente nell’Egitto dal periodo pre-dinastico in avanti (Y. Yadin op. cit.) Sei di questi archi sono di semplice legno non decorato mentre altri sei sono rivestiti al centro e alle estremità: tre di essi con una sottile foglia d’oro, gli altri tre con uno strato d’oro più spesso.
Due di questi archi sono completamente ricoperti da un sottile strato d’oro, mentre a quattro di essi la foglia d’oro è stata applicata su di un fondo di gesso che circonda il legno.
La lunghezza maggiormente diffusa per gli archi egizi semplici variava da 1,80 a 1,20 m.
(H. Bonnet, Die Waffen der Volker des alten Orients, Leipzig 1926). Noi possiamo notare che dieci degli archi della tomba di Tutankhamon rientrano entro questi limiti; l’arco molto piccolo che fa parte dei rinvenimenti può essere considerato come un ricordo d’infanzia del re. I tre archi più lunghi sono invece armi eccezionali sotto ogni aspetto e, a parte le contro curve, ricordano molto l’arco da guerra Inglese. Due di questi archi hanno su di essi dei resti di corda in budello che, durante i 3.000 anni trascorsi si sono tramutati in una massa viscosa. Un altro arco presentava tracce della sua corda originaria al momento del rinvenimento, ma in seguito tali resti scomparvero mentre la corda in lino di un altro esemplare, inventariato col n. 20, è tuttora esistente e presenta ad una delle due estremità un nodo simile al nodo parlato semplice usato in nautica.
Se tale nodo è completo esso risulta inaspettatamente semplice; il metodo più usuale di unire la corda ai flettenti consisteva infatti in una serie di mezzi nodi fatti sopra ad un nodo parlato iniziale
(Cfr. Engelbach, Introduction to Egyptian Archaeology, Cairo 1946; J.D. Clark, Phillips and Staley, “Ancient Egyptian Bows and Arrows and theyr relevance for African Prehistory, Paleorient Vol. 2, 1974).
La maggior parte delle frecce rinvenute nella tomba hanno l’asta in canna con le parti anteriore e posteriore in legno innestato, solo due fasci di frecce sono state rinvenute assieme a tipi particolari di arco e queste avevano una forma atipica. Gli archi che in foto appaiono all’esterno
della fila avevano con essi 10 frecce ciascuno, con asta in un sol pezzo di legno, lunghe 91 cm. e con punta affilata. Queste frecce appaiono troppo lunghe per essere tese sull’arco fino alla punta, almeno col metodo occidentale, la lunghezza media di una moderna freccia sportiva è infatti di soli 71 cm. Tuttavia, dal materiale rinvenuto pare che gli Egizi preferissero frecce più lunghe, che normalmente superavano gli 80 cm. E a tal riguardo è importante notare che quasi tutte le rappresentazioni pittoriche egizie di arcieri su carri da guerra mostrano un arciere che tende la corda ben oltre l’orecchio, in una tecnica di tiro che ricorda molto quella dei Giapponesi (Cfr. Walther Wolf, Die Bewaffnung des altagyptishen Heeres, Leipzig 1926).
Gli archi in legno ricoperti con sottile foglia d’oro non potevano certo essere armati o tesi senza screpolare il fondo di gesso e lacerarne la ricopertura, si è pertanto portati a pensare che questi archi siano stati fatti appositamente per uso cerimoniale e funerario, non per essere realmente usati.
Vi è tra gli altri un arco, inventariato col n.17, che è stato chiaramente posto nel corredo funerario del re adolescente in uno stato non finito. Questo manufatto è di notevole interesse in quanto ci svela alcuni dettagli sulla tecnica di lavorazione del legno usata dagli Egizi, esso merita pertanto una più accurata descrizione. Un flettente, che misura 76 cm. In lunghezza, è solamente sbozzato, la sua sezione è poligonale e presenta le sfaccettature lasciate dall’ascia ben visibili; queste sfaccettature hanno una larghezza massima di un centimetro e si estendono sull’intera lunghezza del flettente fino al puntale. L’impugnatura e l’altro flettente, lunghi complessivamente 102 cm., sono più rifiniti. Sono visibili i segni lasciati da una raspa, sia paralleli all’arco che a spirale attorno ad esso, che tuttavia non cancellano affatto gli spigoli lasciati dalla scure . Questi segni di raspa non sono profondi, ma le striature sono abbastanza distanti tra loro, circa un millimetro. Nel flettente incompleto i dieci centimetri terminali sono perfettamente diritti. Sul corpo principale dell’arco, appena prima che inizi la curvatura, ad una distanza di circa 13 cm. dal puntale, vi sono quattro scanalature parallele trasversali poco profonde sulla faccia. Queste distano circa 3,5 mm. una dall’altra ed hanno una lunghezza di circa un centimetro, le estremità di esse è leggermente rastremata. Nella parte finale il flettente è quasi rettangolare in sezione, con lo spessore superiore alla larghezza.
A circa un centimetro dalla punta si trova una tacca a V larga 1.5 mm. e altrettanto profonda intagliata sul dorso del flettente.
Sul flettente finito di questo arco, la parte terminale diritta misura in lunghezza 7 cm. e l’inizio della contro curva si trova a 11 cm. dal puntale, la cui estremità è rastremata e termina con una sezione ellittica . Vi si trova una scanalatura sul dorso, sempre ad un centimetro dalla punta; questa è larga quattro millimetri e profonda soltanto uno.
Metodo di costruzione
E’ stato a volte asserito che le parti in legno curve dei mobili e di altri oggetti Egiziani fossero già curve in natura, oppure che la pianta venisse fatta crescere dentro a delle dime, ma questo arco sembra invece dimostrare che la tecnica per piegare il legno fosse in realtà già nota agli antichi Egizi. Questo ci consente di ricostruire le successive fasi di lavorazione, cosa che non sarebbe risultata possibile se si fosse trattato di un arco finito.
Ne Mc Leod e nemmeno gli altri autori consultati fanno menzione del tipo di essenza usata, ma non sarebbe azzardato supporre si trattasse di acacia. In questo ci vengono in aiuto altri quattro archi rinvenuti a: Beni-hassan, Hassiut e Tebe. In questi esemplari il legno è stato identificato come acacia dal Prof. Yigael Yadin dell’Universià Ebraica di Gerusalemme (Fig. 3).
(Per ulteriore riferimento: “Hollis S. Baker, Furniture in the ancient world, Origins and Evolution
3100 – 475 B.C.”, London 1966. – W.M. Flinders, “Tools and Weapons Illustrated by the Egyptian Collection”, British School of Archaeology in Egypt, n. 30, 1917).
Per quanto si riesce a giudicare dalle rappresentazioni, questo arco in legno semplice a doppia curvatura manteneva la sua forma anche quando veniva armato e teso.
Conclusione
Le attrezzature e i materiali dalla Tomba di Tutankhamon continuano a fornire nuove e inaspettate evidenze su di ogni aspetto della vita degli antichi Egizi. Sebbene non ci sia dato di sapere direttamente se l’occupante della tomba fosse stato veramente in vita un appassionato arciere, il suo equipaggiamento funerario conduce a sostenere fortemente questa valutazione, ed inoltre rende ancor più plausibile una delle frasi che ricorrono più di frequente nei titoli onorifici attribuiti a questo faraone adolescente: “La benigna divinità dal potente arco, che possiede la forza e il vigore nel tenderlo”.
Fonti: