Lo studio e la classificazione dei reperti degli archi preistorici italiani è ancora nel pieno dello svolgimento e quindi ben lungi dall’aver dato risposta a tutti gli interrogativi che tali rinvenimenti pongono. L’esposizione che segue è stata tratta dalle analisi tecnologiche e funzionali tenutesi nell’ambito del convegno “Le Catene operative dell’Arco preistorico”, svoltosi a San Lorenzo in Banale e Fiavè (TN) nell’anno 2002, sotto il patrocinio della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Trento, in collaborazione con l’A.P.T. Terme di Comano e il Comune di Fiavè (TN). L’autore ringrazia La Soprintendenza ai Beni Archeologici di Trento, nella persona del Dott. Paolo Bellintani, coordinatore delle ricerche scientifiche e delle pubblicazioni divulgative, per avere gentilmente concesso alla Society of Archer-Antiquaries la pubblicazione di questo inedito lavoro. Di tale convegno sono in preparazione gli atti, che saranno disponibili a breve.
I reperti presi in considerazione, tutti databili all’età del bronzo, sono quelli degli insediamenti palafitticoli di Fiavè Carrera e Ledro (Trento). Va ricordato che in tale prospettiva di analisi e classificazione di questi rarissimi reperti andrebbe annoverato anche l’arco rinvenuto nel ‘91 sul ghiacciaio dell’ Hauslabjoch in alta Val Senales.
Si è tuttavia subito iniziato l’esame dell’arco di Fiavè e delle sue frecce, custoditi nei laboratori dell’Università di Trento. Va specificato che finora tutto quello che si conosceva su questi reperti erano un paio di pubblicazioni curate da Franco di Donato e basate sulle descrizioni e i disegni degli scavi del Perini (1969-1976) per Fiavè, e del Battaglia (1943) per Ledro.
La possibilità di toccare con mano ed esaminare al microscopio a scansione i reperti originali ha fornito nuovi elementi per l’analisi tecnologica e i test funzionali.
L’arco di Fiavè è l’unico del quale, al momento, sia stata determinata con certezza l’essenza, identificata come legno di corniolo. Dalle accurate misurazioni si è potuto eseguire una replica dell’arco, dopo aver identificato la curvatura radiale degli anelli in base alla quale si è potuto dedurre che l’arma proviene da un ramo o pollone di corniolo del diametro di 3,5 o 4 cm. La replica ha riportato in vita un arco lungo un metro e quarantacinque, che sviluppa un carico di 51 libbre a 23 pollici di allungo (23 kg. a 58,5 cm.) . È difficile pensare che questo arco, eseguito con corniolo stagionato, potesse essere usato con una trazione al volto, come noi siamo soliti vedere, ma piuttosto con una trazione al petto in quanto la sezione dei flettenti semi tonda e la ridotta lunghezza degli stessi, non avrebbe consentito allunghi superiori.
—— Per la replica dell’arco si sono presentati un paio di interrogativi posti dallo stesso reperto originale. 1) l’arma era ricavata da legno verde o stagionato ?
2) Dato che una delle due estremità risulta mancante per bruciatura, dobbiamo supporre che entrambi i flettenti fossero della medesima lunghezza in origine, o piuttosto di lunghezza diversa, formando un arco leggermente asimmetrico?
Per il primo interrogativo, una pubblicazione di Alessio Cenni sugli archi italiani del Medioevo (L’arco e gli arcieri nell’Italia medievale, Ed. Greentime, Bologna, 1997.) ci suggerisce che il corniolo potrebbe essere una essenza adatta alla costruzione di archi funzionali anche con legno verde o quasi. Si è quindi proceduto alla costruzione di una seconda replica in corniolo verde, adottando un accorgimento che prevede che l’arco venga impregnato con grasso animale e passato sul calore della fiamma; il grasso va in tal modo a sostituirsi a parte dell’acqua e dei liquidi che il calore fa evaporare, al contempo il calore conferisce anche un certo grado di “tempra” del legno, similmente a ciò che ancora oggi viene praticato nella costruzione degli archi giapponesi in bambù. (Oscar Gonzalez).
La replica dell’arco di Fiavè eseguita con legno di corniolo stagionato ha prodotto un’arma di maggior rigidezza e quindi maggior energia immagazzinata, ma anche meno elastica e quindi con punto di rottura più vicino di quello della sua controparte in legno verde . Tale replica, ora disponibile è stata eseguita seguendo l’ipotesi della simmetria dei flettenti. Ciò tuttavia non esclude che l’arco originale potesse essere leggermente asimmetrico. Le ragioni a sostegno di tale ipotesi trovano riscontro in un’altra pubblicazione: “La caccia con l’arco nel Medioevo” De Arte Bersandi, di Giovanni Amatuccio, Ed. Greentime, Bologna, 2001).
Si tratta della traduzione di un importante trattato francese di arcieria che risale al 1515, (anteriore quindi al più famoso “Toxophilus” scritto in Inghilterra) e che venne pubblicato col titolo originale “L’Art d’Archerie”.
Alla pagina 81 dell’edizione italiana leggiamo “E se l’arco è ben fatto sarà più lungo sopra che sotto”. Questa caratteristica di leggera asimmetria la si ritrova più tardi anche negli archi lunghi inglesi ricreativi (1830), ed è dovuta all’osservazione che la mano dell’arciere viene a trovarsi al disotto del centro geometrico dell’arco (mezzeria), questo per consentire alla freccia di passare il più vicino possibile a tale punto centrale (punto di sparo). La costruzione dell’ispessimento rigido che forma l’impugnatura in un punto decentrato sotto la mezzeria, determinerebbe una minor lunghezza (ed una maggiore rigidità) del flettente inferiore o, detto in altri termini, un flettente superiore più lungo.
La tipologia costruttiva dell’arco di Fiavè lo rende affine, se non nella forma esteriore sicuramente nella posa in opera del legno, all’arco rinvenuto nelle torbiere di Holmegaard in Danimarca. L’affinità risiede nel fatto che il pollone è stato lavorato lasciando intatta la parte sotto la corteccia (libro-strato di cambio) che viene a formare il dorso convesso dell’arco, mentre l’asportazione di materiale è avvenuta sulla parte interna dei flettenti, lasciando maggior spessore al centro per l’impugnatura, dando luogo alla superficie piatta interna dell’arma.
La fase ricostruttiva ha quindi tenuto conto di questa caratteristica dell’arco, che vede gli anelli di accrescimento del legno lasciati in senso “tangenziale” rispetto alla sezione. Va notato che questa soluzione tecnologica non era la sola e dipendeva dal tipo di legname a disposizione e soprattutto dalle sue dimensioni e caratteristiche di “pulizia” delle venature. Gli archi rinvenuti a Ledro presentano infatti una venatura “radiale”, ad eccezione di uno ( Ledro 1530 / A1575).
La ricostruzione delle frecce ha tenuto conto dei reperti originali, con aste in larice e punte in osso-corno e selce, la ricostruzione degli impennaggi ha richiesto una accurata analisi delle tracce lasciate su una delle aste dal mastice composto di resina, cera e polvere di carbone. Questa parte posteriore di freccia ha fornito importantissime nozioni sulle dimensioni della cocca (insolitamente profonda, probabilmente per “perdonare” eventuali imprecisioni di sgancio, è stato anche suggerito l’uso di un anello da pollice per una tecnica di tiro all’asiatica, ma il mancato rinvenimento di anelli da arco in loco rende poco attendibile l’ipotesi).
La lunghezza e configurazione dell’impennaggio, risulta di 7,8 cm. con un rinforzo di filo (probabilmente in tendine), dissoltosi ma che ha lasciato chiare tracce di un suo avvolgimento a spirale attorno all’impennaggio, lasciando evidenti rinforzi ribaditi sia alle estremità di questo che al centro, ed un rinforzo subito sotto la cocca, per impedire all’asta di spaccarsi in senso longitudinale, il tutto eseguito utilizzando, apparentemente, un unico pezzo di filo.
Tale manufatto denota accuratezza e intelligenza di osservazione dei punti deboli e soggetti a usura della freccia. La lunghezza delle frecce ha dovuto essere ipotizzata in base a quella dell’arco in quanto nessuna freccia intera è stata rinvenuta. Una parte anteriore di freccia reca tracce di una strozzatura del diametro sulla punta, atta a ricevere, probabilmente, una cuspide sovrapposta in osso o corno, non rinvenuta in quella tipologia. Le altre punte in osso-corno a forma di losanga con lungo e appuntito peduncolo, classificate e catalogate, sono state ricostruite e montate sulle frecce.
Un ulteriore elemento organico ben presente in zona ed adatto alla costruzione di aste da freccia è la canna palustre, che cresce in abbondanza, adesso come allora, in prossimità di laghi e fiumi. Si è perciò proceduto alla ricostruzione di frecce utilizzando tali canne come aste, tappi in legno di larice per ricavare le cocche ed armature sia in selce che ossidiana (l’ossidiana non è tra i reperti esaminati e la si è usata per termini di confronto). Le frecce ottenute con tale procedimento sono più leggere di quelle, documentate, in larice, e consentono per tal motivo una gittata superiore, pur riportando una minore forza di impatto e penetrazione sul bersaglio.
Il rapporto tra forza dell’arco e peso della freccia è stato scientificamente studiato soltanto negli anni ’40 in America da Klopsteg e Hickman, i quali hanno scoperto che la migliore efficienza di un arco in termini di energia effettivamente trasferita al proiettile, non viene espressa con l’uso di una freccia il più possibile leggera, bensì deve esistere una giusta proporzione tra forza dell’arco e peso della freccia.
Esagerando, un pesante oggetto come un tondino di ferro assorbirà molta più energia da un arco di quanto non possa fare una leggera asta in carbonio o in canna.
Ovviamente col termine efficienza qui non si definisce la gittata dell’arma, la quale designa un altro tipo di efficienza, bensì la forza di impatto di un dardo su di un bersaglio anche relativamente vicino. Hickman e Klopsteg hanno notato che ogni arco viene a perdere una data quantità della propria energia potenziale in inutili vibrazioni. Questa parte di energia deve essere considerata come una massa aggiuntiva che l’arco deve spingere assieme a quella della freccia. Siccome si tratta di una costante per ogni arco in particolare, ne consegue che tale perdita di energia diviene proporzionalmente sempre maggiore, rispetto alla massa totale, se noi usiamo una freccia più leggera. Questo fa si che l’arco disperda una quantità maggiore della sua energia totale in vibrazioni.
Questa costante matematica, d’altro canto, diviene una parte trascurabile della massa totale, con l’utilizzo di una freccia più pesante. Ne consegue che la reale efficacia di un arco dipende dalla massa della freccia tirata. (Cfr. Adam Karpowicz, “Comparing Bows”, in Primitive Archer Magazine,U.S.A. Volume 9 Issue 4 January 2002).
I test dinamici di gittata condotti con la replica dell’arco di Fiavè hanno confermato questa teoria, e la tabella che segue ne è un esempio.
Le prove balistiche sono state eseguite con entrambe le repliche in legno stagionato e verde, su di un campo di tiro pianeggiante nei pressi del sito palafitticolo . Sono state scoccate diverse tipologie di frecce, sia in larice che in canna, con differenti tipi di armature, sia in selce che in osso-corno.
Dati arco Fiavè in legno stagionato:
– lunghezza arco incordato : 142 cm.
-corda: lino crudo, diametro 2,3 mm.
-distanza corda impugnatura: 8,5 cm.
Il diagramma di trazione replica Fiavè S.
Allungo – Carico –
a 40 cm. Kg. 16,32
a 45 “ “ 19,05
a 50 “ “ 21,32
a 52 “ “ 21,77
a 55 “ “ 22,13
a 58,5 “ “ 23,04 — (51 libbre a 23 pollici, in misure anglosassoni).
Giova specificare che quando è necessario condurre analisi tecnologiche e funzionali su repliche di archi, noi avremo sempre e comunque a disposizione delle approssimazioni degli originali: la vera e propria “clonazione” del reperto sarebbe impossibile, datosi l’unicità di ogni singola stecca in legno, anche se proveniente dalla medesima pianta.
– I test di gittata massima: ogni arma da getto raggiunge la gittata massima con un alzo di 45° rispetto alla linea del suolo. Per motivi comparativi sono stati sottoposti ai medesimi test anche una replica in olmo dell’arco rinvenuto a Holmegaard (Danimarca) e un’altra replica sempre in olmo di altro arco rinvenuto a Muldbjerg (DK).
(Riportare integralmente la tabella dei test balistici- di Bellintani )
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Il dato che maggiormente salta all’occhio è il fatto che la replica dell’arco in legno verde, pur accusando al dinamometro un carico minore, ossia minor forza immagazzinata, ha registrato velocità di freccia e gittate leggermente superiori alla replica in legno stagionato, questo elemento apparentemente contraddittorio è in realtà dovuto al fatto che l’arco verde può essere teso ad un allungo superiore di quello stagionato ed un maggiore allungo consente un maggiore accompagnamento della freccia in chiusura e quindi maggiore energia restituita al proiettile anche a fronte di maggior carico accumulato ma in allungo minore. (Cfr. “Archi e stili a confronto”, Stefano Benini, ARCO agosto-settembre 2004, Ed Greentime).
Il test di gittata ci fornisce un dato relativo alla capacità di colpire a lunghe distanze, che tuttavia non può essere considerata la caratteristica principale per un arma da caccia, dove le distanze di tiro alla preda vanno dai 15 ai 30 metri.
Il dato comparativo di maggior rilievo per l’efficacia dell’arco sulle distanze d’uso ci viene fornito dal test di tiro attraverso il cronografo per registrare la velocità delle frecce in uscita dall’arma.
Riportiamo fuori tabella le velocità registrate con la freccia che ha dato la miglior gittata sul campo a confronto con la freccia in larice del tipo rinvenuto assieme all’arco. Va osservato che la freccia più pesante causa comunque ferite più profonde anche se vola più lentamente.
Con replica Fiavè stagionato:
Freccia in canna punta in selce del peso compl. di 21,0 grammi ———- 138 f.p.s.
Freccia in larice punta in osso, peso compl. di 34.0 grammi ———–119 f.p.s.
La sigla f.p.s sta per feet per second, (piedi al secondo) e nel mondo dell’arcieria tradizionale questa unità di misura viene ormai convenzionalmente usata sia in Europa che in America per riferirsi alla velocità iniziale delle frecce, piuttosto che i metri al secondo o i chilometri orari.
Tale unità di misura ci torna comoda in quanto un dato di questo tipo tenuto isolato avrebbe poco valore, mentre invece dovrebbe essere confrontato con ciò che altri ricercatori e archeologi sperimentali hanno eseguito su repliche di altri famosi reperti di archi preistorici europei, ed in quegli ambienti scientifici ci si esprime in misure anglosassoni piuttosto che metriche decimali.
Siamo infatti in possesso dei dati relativi alle analisi tecnologiche dell’arco di Holmegaard (Danimarca 7000 A.C.) e dell’arco di Meare Heath (Inghilterra 2800 A.C.).
– Velocità della freccia, in pino, del peso di 30g. : ———- 154 f.p.s.
Gittata massima, con stessa freccia, —————————— 174 m.
Analisi, ricostruzione e test eseguiti da Flemming Alrune.
trazione: 42 libbre a 28 pollici.
-Velocità freccia, peso 30g. ————————————— 131 f.p.s
Gittata utile: 92 m. Gittata massima: non registrata ————————-
Analisi, ricostruzione e test eseguiti dal Dr. Stuart Prior.
(Dati pubblicati sul “Journal of The Society of Archer-Antiquaries”, anni 1992 e 2000).
Tali risultati consentono di concludere che l’arco di Fiavè era un’arma da caccia,
probabilmente destinato a selvaggina di penna e cervi di media taglia quest’arco aveva una buona efficienza considerando anche il corto allungo di trazione che, a parità di carico finale, consente di immagazzinare una quantità inferiore di energia restituibile alla freccia.
Se infatti le sue 51 o 52 libbre (23,5 kg.) avessero potuto accumularsi nel corso di un allungo di trazione di 28- 30 pollici, invece dei soli 23-26 consentiti dalla sua ridotta lunghezza e dalla sezione dei flettenti, l’arco di Fiavè avrebbe sicuramente registrato gittate e velocità in uscita notevolmente superiori: non è infatti il carico finale di energia a determinare l’efficienza di un arco bensì la velocità di chiusura, ossia la caratteristica della resilienza, che consiste nella capacità di un corpo elastico di ritornare al suo stato inerte il più velocemente possibile.
Questa caratteristica è strettamente collegata a quello che in fisica è noto come il “momento”, vale a dire la lunghezza della spinta ricevuta dalla freccia: un ritorno elastico di 80 cm. con una spinta di 20 kg. produrrà una velocità superiore a quella del ritorno elastico dagli stessi 20 kg. ma lungo un’onda di soli 60 cm.
Giova in ogni caso citare una lettera del famoso cacciatore arciere americano Howard
Hill che, nel 1959, rispondendo ad un amico arciere sul tema dell’efficienza minima richiesta nella caccia, scrisse che un arco di 40 libbre con una freccia di 29 grammi, è sufficiente ad abbattere qualsiasi preda della taglia del cervo presente nel Nord America, a patto che la punta di freccia usata abbia una lunghezza tripla rispetto alla larghezza. (H. Hill, lettera ad Austin Bean, 23.03.1959, coll. Autore).
La panoramica funzionale, balistica e operativa fornitaci dalle analisi ricostruttive dell’arco di Fiavè parrebbero confermare l’analisi antropologica territoriale del Perini, secondo la quale, datasi la rarità del reperto ed il basso numero di frecce rinvenute, vi è da pensare che tale tipo di arma fosse più che altro riservata alla caccia, cioè ad una attività che, stando ai reperti ossei, a Fiavè sembrerebbe essere marginale e più che altro integrativa all’allevamento, ai fini dell’approvvigionamento
di carne. (R. Perini, Fiavè-Carrera, pag. 357)
Gli archi preistorici Italiani andrebbero confrontati, per vicinanza geografica e culturale, con gli archi svizzeri rinvenuti a Robenhausen, Egolzwil, Weiher e Zurigo, descritti dal Dr. J.D. Clark nel 1963.
Molto ancora resta da fare, tuttavia questo piccolo arco in corniolo, unico di questa tipologia ad essere stato rinvenuto, viene a formare un primo ed importante tassello di una più completa panoramica sugli archi preistorici italiani, che andrebbe a completare il più ampio studio iniziato dal Clark e che comprende la descrizione e lo studio degli archi preistorici del Nord-Ovest dell’Europa.
Tuttavia le analisi tecnologiche e funzionali di tutti questi importanti reperti richiederebbero risorse umane, di tempo ed economiche enormi.
Riferimenti:
Archery in North-western Europe. Dept. Of Archaeology and Antropology, Cambridge, 1963.
Giovanni Amatuccio – La Caccia con l’arco nel Medioevo, De arte Bersandi, Greentime 2001.