Eiko Iwata, nata ad Akashi (Giappone), ha conosciuto il Kyudo assistendo alla antica e famosa gara che si tiene al tempio di Sanjusangendo, a Kyoto, ogni 15 di gennaio.
Dopo un periodo di circa 10 anni di pratica in patria, Eiko approda in Italia nel 1988 e qui, superate le difficoltà di ambientamento e varie vicissitudini, si stabilisce a Padova, dove entra in contatto con la Federazione Italiana di Kyudo, segnalatagli dal maestro Ono. All’epoca Eiko praticava ancora lo stile della Federazione, che è quello maggiormente diffuso in Giappone, ma in seguito accadde un incontro determinante: la conoscenza di una coppia di praticanti che le diedero da leggere un libro del maestro Genshiro Inagaki, Yumi no Kokoro (Lo spirito del Kyudo); per Eiko quersta lettura segnò una svolta nelle sue scelte, conducendola ad abbracciare lo stile Heki Insai, diverso da quello federale e che conta pochi praticanti in Giappone. Eiko quindi cambiò qui in Italia il suo stile di Kyudo, e ne capì le potenzialità.
Dopo avere superato diversi esami sia in Giappone che in Europa, Eiko superò l’esame per renshi (Istruttore) a Berlino. Tuttavia il fattore determinante che contribuì alla scelta di passare alla scuola Heki, fù l’incontro personale con il maestro Inagaki ad un seminario in Italia.
La personalità del maestro colpì Eiko come un fulmine; la storia antica e affascinante di questa scuola, la tecnica precisa e la sua spiegazione scientifica, tutto contribuì all’importante passo. In seguito Eiko avrebbe superato l’esame per 6° dan in Belgio, ponendosi così tra le prime donne residenti in Europa con tale titolo. Le competizioni di Kyudo sono certamente più diffuse e seguite in Giappone che non in Europa, tuttavia, proprio per questa ragione, quello che segue è un interessante resoconto di una competizione di livello Europeo che si svolge ogni due anni in un paese d’Europa di diversa elezione.
Stefano Benini
Le date per il Campionato Europeo di Hannover (Germania) erano già state fissate per il 17 e 18 aprile. A pochi giorni dalla partenza però ero ancora turbata dagli ultimi dubbi di queste importanti vigilie: I giapponesi sarebbero stati ammessi ai campionati? Saremo riusciti a formare le due squadre previste anche se un arciere mancava all’appello? A tutto ciò andava ad aggiungersi il fatto che soli due giorni prima della partenza non eravamo riusciti ad individuare l’esatto indirizzo dove le gare avrebbero avuto luogo.
Le competizioni europee sono le uniche finora tenutesi a livello internazionale e si svolgono ogni due anni, ogni volta in un paese diverso. Unico requisito richiesto ai kyudoka (praticanti il Kyudo) per prendere parte alle gare è l’avere superato l’esame per almeno il primo dan, e a due dei nostri compagni di squadra era stato assegnato il grado necessario proprio lo scorso anno durante gli esami di Martigny, Svizzera (vedi Arco n.6, Dic. 2003).
Il regolamento di campionato prevede che ogni paese possa formare due squadre composte di tre arcieri ciascuna. I primi venti arcieri classificatisi in queste gare a squadre si conquistano il diritto di misurarsi nella competizione individuale.
Ricordo che nel dojo giapponese dove ero solita allenarmi, gare di questo tipo si tenevano in via ordinaria ogni mese e perciò eravamo maggiormente abituati a questo tipo di atmosfera. In Europa queste competizioni avvengono di rado ed in Italia una sola volta all’anno.
L’allegra brigata è partita da Milano la mattina del 16, il viaggio di 12 ore fino ad Hannover è stato tuttavia assai piacevole perché eravamo tutti e sei sulla stessa vettura, chiacchierando e scherzando.
I paesi partecipanti al campionato erano nove: Spagna, Svizzera, Austria, Italia, Olanda, Inghilterra, Francia, Svezia e la Germania come paese organizzatore; 15 squadre europee in tutto. L’apertura delle gare, la mattina del 17, è stata ufficializzata dal tiro cerimoniale (Yawatashi) eseguito dal maestro inglese Liam O’Brian, settimo dan kyoshi.
Nella competizione a squadre ciascun arciere deve tirare tre serie di quattro frecce ciascuna; nel Kyudo il bersaglio, detto mato, ha una unica zona di punteggio: colpito vale uno, mancato zero. Il torneo a squadre è stato vinto dalla Germania con 29 atari (centri) su 36 frecce (12 per arciere). L’Italia, prima squadra, si è in un primo momento piazzata al secondo posto a pari merito con la seconda squadra tedesca: 23 centri su 36 tiri. Per decidere a chi aggiudicare il secondo posto, non essendo previsto un ex aequo, si è reso necessario uno spareggio assai combattuto, con gli spalti gremiti da un pubblico percorso da un brivido di “suspence”.
Ciascuna squadra, per lo spareggio, ha a disposizione tre frecce, una per arciere.
L’Italia si è aggiudicata il secondo podio assoluto con tre centri su tre. Il pubblico è scoppiato in fragorosi applausi allo sbaglio del secondo arciere tedesco, che decretava il terzo podio per la seconda squadra di casa, risultato niente male, essendosi già aggiudicati il primo con la prima formazione.
La giornata di gare era terminata. Ma la serata si rivelò a noi tutti con una piacevole sorpresa: venimmo invitati a cena nientemeno che dal sindaco di Hannover.
Ci spostammo quindi al Municipio, uno splendido palazzo antico che scegliemmo come sfondo per la foto di gruppo del campionato. Al ricevimento le autorità hanno accolto tutti gli arcieri con parole di benvenuto.
Conoscevo quasi tutti i partecipanti, almeno di vista, perché li avevo spesso incontrati ai seminari tenuti dalla federazione europea di Kyudo e, per mia fortuna, alcuni di loro parlano anche giapponese, così ho potuto svagarmi conversando del più e del meno in amicizia . Uno dei miei compagni di squadra se la cava con l’inglese e così, traducendo per gli altri, anche il resto degli italiani ha potuto godere della compagnia degli altri Kyudoka. In quella serata abbiamo anche conosciuto una ragazza giapponese molto interessata a socializzare e conversare con noi proprio sull’Italia, paese che destava in lei grande interesse.
E’ stata un’esperienza bellissima ritrovare dei compagni di Kyudo e incontrarne dei nuovi, non solo in Italia ma in Europa!
Il giorno seguente si è tenuta la gara individuale. Ogni arciere doveva scoccare 12 Frecce sul regolare mato di 36 centimetri alla distanza dei 28 metri. Tre arcieri erano talmente bravi che tutte le loro frecce andarono a segno, arrivando quindi allo spareggio, nel quale si aggiudicava la vittoria il francese Claude Luzet, sesto dan renshi. Conoscevo già Claude perché, assieme a lui e altri due italiani, avevo superato l’esame per renshi a Berlino. Claude è una persona molto tranquilla e sempre sorridente, la sua tranquillità si riflette nel suo tiro, che è talmente perfetto che ogni sua freccia va diritto al centro.
Partecipare o meno a questa come ad altre gare è una libera scelta per ciascun praticante, ma io credo che sia un’esperienza da affrontare perché ci insegna molte cose. In una gara infatti vengono alla luce le reali caratteristiche del proprio tiro e i difetti si evidenziano. Inoltre si deve tirare in un’atmosfera carica di tensione, fattore che, durante un allenamento, non ci disturba affatto. Si dovrebbe perciò, anche durante la competizione, riuscire a non perdere la calma e il nostro usuale stato d’animo, cosa assai più facile a dirsi che a farsi, infatti il mio tiro è stato ampiamente al disotto dei miei standard, colpendo solo con quattro frecce su dodici, a riprova di quanto detto sullo stato di tensione: infatti durante gli allenamenti colpivo il bersaglio quasi sempre. Ma questo fattore non ha disturbato solo me, infatti anche un altro bravo arciere della nostra squadra, che di solito vince la gara nazionale, ha dato una prova piuttosto deludente, anche lui ben al di sotto dei suoi abituali risultati.
Partecipare a questa competizione europea è stato molto utile per noi tutti, una esperienza di crescita bellissima. Il tiro con l’arco giapponese infatti, a vedersi, non appare tanto più difficile di qualsiasi altro tipo di tiro tradizionale, ma lo è, ed occorre tutta una vita per impararlo e gestirlo. Le squadre tedesche, come del resto gran parte dei praticanti germanici assieme agli italiani, studiano l’antico stile Heki Ryu Insai Ha, portato in Europa dal maestro Inagaki Genshiro. Fu lui a vincere la prima gara nazionale del dopoguerra di fronte all’imperatore, cosa assai difficile che richiede maestria, sforzi ed impegno non comuni.
Gli insegnamenti della scuola Heki Insai ci tramandano la certezza che, se un arciere continua a praticare ed allenarsi costantemente, fa progressi sicuri, anche se non sempre evidenti.
Voglio proseguire su questa difficile via perché credo profondamente in questo insegnamento. Penso inoltre che l’arco giapponese sia insuperabilmente bello e allo stesso tempo “semplice” come poche altre cose al mondo.
Eiko Iwata