Scritto dal Maestro Genshiro Inagaki per la prima edizione del libro “KYUDO,
la via dell’arco” di Feliks Hoff.
Prof. Manfred Speidel, che ha anche curato l’edizione del testo dal giapponese.
Normalmente le ragioni per le quali si pratica il Kyudo, gli obiettivi che si desidera raggiungere attraverso di esso, non sono chiaramente definiti. Molti lo praticano come hobby o semplicemente come uno sport. Tuttavia in Giappone vi sono anche altri gruppi di persone che associano il Kyudo, in quanto disciplina facente parte del
Budo, ad un particolare stile di vita. Uno di questi gruppi in particolare studia il Kyudo come un particolare tipo di cerimonia. Costoro credono che, quando la cerimonia migliora attraverso la costante pratica, questo significhi compiere dei progressi nell’arte del tiro con l’arco giapponese. Ma questa è un’illusione.
L’arte del tiro con l’arco consiste nel raccogliere i frutti che crescono dalla propria abilità nel tiro e dalla propria mente. Il Kyudo comprende entrambe le cose: abilità e mente. Ciò viene dimenticato, perciò è vero esattamente quanto segue: chiunque pratichi la giusta tecnica del tiro con l’arco compirà progressi anche
a livello mentale. Solamente attraverso la pratica della tecnica, ossia dell’arte, diviene possibile penetrare la Via dell’arco.
Chiunque trascuri questa difficile tecnica, chiunque creda di potere percorrere questa Via per mezzo della cerimonia, rimane bloccato nella vuota forma. Naturalmente anche la cerimonia ha il suo valore ma questo è il mondo della cerimonia, non il mondo dell’Arco. Un altro gruppo dice: il Kyudo è la via della mente, il suo obiettivo è coltivare la mente. Secondo questo gruppo la mente è la cosa più elevata ed importante. Ma in questo Kyudo della mente, l’arte dell’arco, ossia la tecnica, diventa un problema marginale, ed anche qui si cela un modo errato di pensare.
Naturalmente, in certo qual modo entrambi questi gruppi raggiungono i loro obiettivi.
Coloro che praticano il tiro con l’arco come cerimonia, che rifiniscono la loro forma e raffinano i loro movimenti in modo da diventare assai estetici e dare in tal modo un’impressione di eleganza, anch’essi raggiungono uno stato interiore che nasce dal loro atteggiamento mentale; anch’essi possono entrare, fino ad un certo grado, in uno stato di non-ego.
E così anche coloro che perseguono il Kyudo della mente, che tendono l’arco e persistono nel mantenerlo nel momento della piena trazione, possono entrare in questo modo in uno stato di non-ego, conosco questo stato per mia esperienza diretta.
Tuttavia, questo stato immobile di temporanea assenza di ego raggiunto per mezzo di particolari posizioni e movimenti del corpo, nella maggior parte dei casi si dissolve quando la forma cambia, e si ritorna senza indugio nel vecchio mondo dell’ego.
La molteplice ripetizione di queste forme, lo sforzo teso alla concentrazione della mente e allo stabilizzarsi delle emozioni, di certo ha un’influenza positiva sulla vita di tutti i giorni. La persona ordinaria potrebbe pensare che questi risultati sono già di per se gli obiettivi che dovevano esser raggiunti, e non vi è molto da obiettare a questa opinione.
Ciò nonostante, il vero obiettivo della nostra pratica con l’arco è, per mezzo di questi esercizi spirituali, il raggiungere la chiarezza passo dopo passo. La chiarezza sulla natura della mente umana- il riconoscere e vedere con precisione, il fare l’esperienza fisica del fatto che vi è una origine della nostra mente, e che la mente non pensa nulla e persino non ha pensieri, ma che ciò nondimeno può vedere e valutare ogni cosa con precisione. Avere le cose innanzi ai propri occhi e vedere, riconoscere con chiarezza la loro natura. Con un : ”Oh, allora è così?!” “E’ davvero così?” “Era proprio così?”
Ci esce dalle labbra e viene scoperto, la mente viene scoperta in modo fisico. Questo è il fine del Tiro con l’Arco. Questo si può scoprire, conoscere, vedere solo quando si pratica il Kyudo.
Il maestro Zen Koun Suhara, del tempio di Engaku, il mio compagno di Kyudo che, tuttavia, dal punto di vista del suo atteggiamento mentale io considero come il mio fratello maggiore – mi disse che voleva praticare il Kyudo per ottenere lo scopo che ho appena descritto, al fine di fare per se stesso l’esperienza della mente che viene dall’arco.
Non sto dicendo che lo Zen e il tiro con l’arco debbano necessariamente procedere assieme. Non intendo dire questo. E’ vero, si potrebbe sospettare che lo Zen e il Kyudo siano la stessa cosa; ma se non si giunge a tale conclusione va bene ugualmente. Penso che si possa arrivare molto vicini allo Zen, ma secondo me non si dovrebbe cercare di ingraziarsi lo Zen, cercando di sentirsi a proprio agio in esso.
Lo Zen e il Kyudo raggiungono lo stesso grado di illuminazione, e noi abbiamo la certezza che la mente viene sviluppata ed educata tanto nel Kyudo quanto nello Zen.
Sulle basi della mia esperienza personale desidererei parlarvi della relazione che intercorre tra la tecnica e la mente. Le mie parole sono prese dall’esperienza quotidiana nel Kyudo e non hanno molti presupposti scientifici. Tuttavia sono convinto che esse non contengano asserzioni sbagliate.
I successi in campo mentale si raggiungono, così si dice, attraverso il riflesso condizionato. Il riflesso condizionato ne è la causa, ma oltre a questo vi è un’altra idea di cosa la mente sia.
Basandomi sulla mia esperienza di quarantasette anni di tiro con l’arco espongo una teoria che poggia su due principi.
In Giappone, come regola generale, un principiante pratica ogni giorno e nel fare ciò esegue circa cento tiri al giorno. Dopo due o tre anni, un certo numero di arcieri raggiungono una elevata percentuale di centri sul bersaglio. Durante questo periodo di tempo le istruzioni dell’insegnante sono state fedelmente seguite; l’arciere ha lavorato con concentrazione, attenzione e duramente.
Ma in ogni caso, la ripetizione, l’indisturbato e continuo processo, hanno portato i movimenti dell’arciere in uno stato di riflesso condizionato. Allora l’abilità darà un giorno i suoi frutti e l’arciere a volte raggiungerà un numero incredibilmente alto di centri precisi, e assai di frequente esso raggiunge risultati migliori di coloro che hanno praticato per più lungo tempo.
Tuttavia un giorno l’arciere rivolgerà la sua attenzione al rilascio del tiro (hanare).
Quel giorno verrà di sicuro. Il suo hanare non è ancora l’hanare che si sviluppa quando un tiro viene consciamente e perfettamente costruito partendo da ashibumi attraverso tutte le fasi. Ciò significa questo: quando esegue il suo tiro sulla base del riflesso condizionato egli colpisce il bersaglio, se le sue condizioni sono buone (vale a dire se è ben condizionato). Un tale arciere appare normalmente molto avanzato naturalmente soltanto se lo si conosce da poco tempo. Al suo confronto, un arciere migliore di lui mostrerà dei difetti nella sua tecnica. Se i riflessi condizionati che ha sviluppato hanno reso possibile a un tale arciere di migliorare, egli non ha più bisogno di prestare alcuna attenzione alla sua abilità.
La sua mente e il suo cuore si ritrovano improvvisamente liberi. Se egli continua a tirare in questo stato, il risvegliarsi, l’approfondirsi e l’allargarsi della sua mente, gli renderanno possibile scoprire cosa manca nella sua tecnica e quali sono i suoi punti deboli. Se l’arciere a questo punto vuole migliorare, un insopprimibile impulso esplode dentro di lui.
All’improvviso egli si sente incerto sul suo stato attuale e fa il suo ingresso in un altro stato, che non è più quello di assenza di ego. A questo punto il suo modello di riflessi si sgretola. All’improvviso non riesce più a tirare nello stesso modo in cui tirava prima. Al momento di kai – la piena trazione – subentreranno pensieri molesti e selvagge fantasie. La mente viene agitata qua e la, mossa da domande e l’hanare diventa difettoso. Ma è qui che ha inizio il vero addestramento nel kyudo.
È giusta la mia tecnica attuale? È corretta la mia abilità? Cosa si dovrebbe fare per migliorare? La forma che si pratica, da ashibumi fino a zanshin, inizia a dipendere da questo stato attuale: il desiderio (o assenza di desiderio) del cuore; innumerevoli dubbi, la propria mente che salta qua e là, pensieri che si presentano e che divengono
parole prive di suono e che, a loro volta, producono altri pensieri, che a quel punto si sviluppano ulteriormente e gettano la tecnica nel caos. Ma qui vi è un punto importante. Questa confusione del cuore può essere evitata se si ricomincia a tirare da capo partendo dal mato, se si lascia sviluppare il kyudo ancora una volta dalla propria abilità.
Coloro che sostengono il kyudo mentale a questo punto direbbero: “Dimentica il bersaglio, ponilo fuori dalla tua mente”, (tali insegnanti sono esistiti ed esistono ancora). Ma questo indica un pregiudizio nei confronti della tecnica, e la tecnica si sta prendendo gioco di costoro. Per questo motivo essi la temono e la rifiutano.
Forse si può riuscire a superare questa crisi per un certo periodo di tempo se si dimentica la tecnica o se la si pone totalmente da parte, e si può forse giungere nel regno dell’assenza di ego. Ma coloro che diffondono il kyudo della mente commettono un grosso errore a tal proposito.
L’obiettivo originario di questo gruppo era – correggetemi se sbaglio – raggiungere il kyudo della mente per mezzo del tiro con l’arco. Se essi ora dimenticano di avere scelto l’arte del tiro con l’arco (la cui spina dorsale è precisamente l’abilità o la tecnica che ad esso sottende), allora costoro negano il tiro con l’arco. Che si possa raggiungere un determinato livello attraverso lo Zen ciascuno è disposto a confermarlo. Anche se viene solamente imitata una forma esteriore, posso ancora concordare che vi sia un parallelo con la Via dello Zen. Le condizioni sono le medesime: la respirazione e una specifica forma di tensione e concentrazione. Ma ci si trova allora in presenza di un tipo di Zen che ha preso a prestito la Forma dell’Arco, e nel quale l’Arco viene usato come mezzo. Ma questo non è kyudo.
Un maestro zen, assai noto in Giappone, disse che il kyudo fa parte dello Zen e che esso è un mezzo per afferrarlo. Se questa affermazione sia vera o falsa non saprei
dirlo, ma costui è sicuramente un profano per quanto riguarda il kyudo. Egli pare dell’opinione che lo Zen sia onnipotente e autosufficiente.
Il kyudo consiste di mente ed abilità, una fusione di entrambe. I frutti spirituali vengono raccolti in base al grado di perfezione della propria arte, o meglio, in base a quanto essa si avvicini alla perfezione, e questi frutti ci potranno aiutare a raggiungere un più alto livello come esseri umani oltre che a raggiungere la salute dello spirito. E’ vero che questo va nella stessa direzione dello Zen, ma non si tratta di Zen, si tratta di Kyudo. Vari frutti di supremo benessere che si possono acquisire attraverso il kyudo, non si possono raggiungere attraverso lo Zen.
Che cosa è allora davvero la mente che si può ottenere attraverso l’arco, la mente risvegliata dall’arco? Come possiamo giungervi, oppure come può l’arciere riconoscere questa mente come sua? Di che cosa si tratta? Cosa vi è di tanto speciale da raggiungere quando si insegue l’arte fino ai suoi limiti, penetrare la tecnica fino
In fondo?
Lo spadaccino Miyamoto Musashi, che nacque nel diciassettesimo secolo e rimase imbattuto in Giappone, presentò i principi segreti del combattimento con la spada nel suo libro Go Rin No Sho, “i cinque fattori importanti (del corpo)”.
Nell’ultimo capitolo del rotolo, Ku no maki, “il libro del Vuoto”, egli disse sulla tecnica: “Colui che raggiunge l’alto livello dell’arte non ha più alcun dubbio o paura; quando incontra un nemico, non fa nulla e nemmeno pensa a nulla; egli si muove ed il suo cuore risvegliato gli si mostra. Questo stato è lo stato di perpetua pace, senza
nemici”.
Riguardo al Kyudo può essere detta esattamente la stessa cosa. Colui che segue gli insegnamenti del suo maestro sulla Via, che persevera e pratica seriamente fino ad avere la certezza di possedere la miglior tecnica e di esser giunto alle sue vette – un tale arciere, attraverso lunghi anni di pratica della respirazione, raggiungerà uno stato
ideale di concentrazione solamente continuando ad accrescere la tensione del corpo nello sforzo del nobiai (tensione + respirazione + concentrazione). In tal modo è possibile produrre la forma mentis (il Cuore) in modo naturale. Se l’arciere ripete tale stato incessantemente, un giorno, all’improvviso egli si risveglierà, e scoprirà che
il proprio cuore, così com’è, è la mente dell’Arco. Nient’altro sarà in esso contenuto, nient’altro verrà da esso pensato, esso si troverà nello stato in cui si trova un bambino appena nato. Egli ha padroneggiato i dettagli dell’arte; i lamenti del suo cuore si sono ammutoliti. Di fronte al mato, la sua mente e il suo corpo esistono all’unisono; nel tendere l’arco, l’arciere scivola fuori da se stesso nell’impegno del tiro, e, ciò nondimeno, la sua tecnica è corretta. Questo è quello stato che in Giappone, da tempi immemori, è stato chiamato waza o suteru, ossia: “gettare via
l’arte” , o “dimenticare la tecnica”. Purtroppo sono sorti molti errori ed incomprensioni dal guardare al significato di queste antiche parole in modo puramente superficiale.
Questa mente che è stata risvegliata dall’Arco, che ha aperto gli occhi e può ora, con calma e fredda valutazione, vedere ed osservare il tiro con precisione, non teme più gli errori. Quando gli errori tentano di insinuarsi in qualche luogo, essa appare immediatamente in quel luogo, come un computer, e li sistema. Quando, durante la trazione, la forza cresce senza interruzione e, sotto l’osservazione della mente la perfezione della tecnica viene intensificata fino al punto culminante, viene il momento nel quale la mente comanda hanare. Questo meccanismo di comando, il
processo psicologico e l’energia che ne deriva, non poté mai essere dimostrato nemmeno dai più famosi scienziati, sebbene la maggior parte dei medici concordino nel riconoscere l’esistenza di tale fenomeno. La mente dell’arciere funziona ed esiste esattamente allo stesso modo della mente di una pietra o di un fiore. La sua mente e la mente del fiore e della pietra non sono differenti. Tutte lavorano all’unisono e allo stesso modo.
Il comando di hanare, quando arriverà? Quando è avvenuto? La mente e il cuore stessi non lo sanno. Quando ci si pensa dopo il tiro non se ne trova risposta.
Possedere questa mente, anche senza avere un arco e una freccia nelle mani, e partecipare alla vita di questa mente nella vita di ogni giorno, richiede incessante pratica. Se la mente che nasce attraverso l’Arco non diviene una sola cosa con la vita di tutti i giorni, non si può dire di aver raggiunto alcuna vera illuminazione.
Narra un’antica storia cinese:
Nei tempi antichi le oche volavano verso sud. Ma giunte in Cina esse davano un’ampia virata appena scorgevano la casa di un famoso maestro d’arco, per semplice paura, per poi tornare sulla loro rotta. Ma quando il maestro divenne assai vecchio, una tigre fece amicizia con lui divenendo addomesticata come un cane.
Quando le oche erano impaurite- ciò avvenne al tempo in cui il maestro aveva scoperto la Mente dell’Arco, tuttavia essa non era ancora molto sviluppata.
Quando la tigre andò a trovarlo – questo accadde quando questo tipo di mente era penetrata nella sua vita quotidiana divenendo un tutt’uno con lui.
La mente che nasce dalla pratica con l’Arco ama il prossimo e ama tutte le cose; essa non compie distinzioni tra le cose che stanno in cielo o sotto di esso. Essa vive felicemente in questo mondo, nulla la spaventa; e nello stato in cui si trova, la sua vita giunge a termine.
Quindi, possano questa Mente e questo Cuore raggiungervi.